Pubblicata il 14 dicembre 2018, Filippiche è una canzone di Mattia Del Moro, in arte Delmoro, che racconta così il significato: “E’ un brano che definirei “epicamente autoironico”. Oltre ad ironizzare su una mia generale pedanteria legata all’amore per il passato, volevo anche rendere quella sensazione, che forse non sono il solo a provare, quando ti sembra che il mondo attorno a te vada avanti, compresa la tua vita e i tuoi affetti, e tu stai lì a guardare, come uno spettatore”.
Mattia Del Moro è un architetto prestato al mondo della musica. Il suo è un pop d’autore fatto di geometrie complesse, incroci tra il moderno e il contemporaneo. Un incontro tra l’Italia migliore degli anni‘80 (dal pop alla italo-disco) e l’eleganza tutta francese di artisti come Phoenix e SébastienTellier. Nato in un piccolo paese della Carnia, è cresciuto viaggiando e muovendosi per l’Europa, partendo da Venezia, dove si laurea in architettura, passando poi per Portogallo, Danimarca e Inghilterra, assorbendo così ritmi e caratteri diversificati che ne hanno amplificato la profondità di linguaggio.
Il testo di Filippiche – in download digitale su iTunes o su Amazon
Se mi annoto tutto quel che dici
Non è per stalkerare
Ma piuttosto per guardare
Cosa c’è tra le parole
Mentre tu scorri veloce,
In questo mondo che mi scappa dalle mani
E a te invece scappa da ridere
Quando parto con le mie filippiche
Che la musica era meglio quando si stava meglio
“Cioè ma vuoi scherzare?
Ma non senti cosa c’è in giro?
Vuoi mettere la musica degli anni ’80, ’70, ’60, ’50, ’40…”
Ma tu dimmi come fai a non perdere mai
Quel tuo credere nella gente,
Anche quando sai che mente
Anche quando è indifferente alla politica del niente
A chi soffre veramente,
E definirsi poi credente come proprio salvagente,In questo mare di solitude
Se non dico sempre quel che penso
Non è che poi non penso
A quanto schifo vedo attorno
Cerco solo di non perdermi le cose piú preziose
Lasciarmi, insomma, conquistare dall’amore
E a te invece scappa da ridere
Quando parto con le mie Filippiche
Che poi il cinema era meglio
Quando si stava meglio
Che voglia di buttare via
Tutte queste malinconie
Per tornare a volare
A quote più normali
Senza essere cinici
Ma nemmeno coglioni
Ma tu dimmi come fai a non perdere mai
Quel tuo credere nella gente,
Anche quando sai che mente
Anche quando è indifferente alla politica del niente
A chi soffre veramente,
E definirsi poi credente come proprio salvagente,
in questo mare di solitude